Così internet viaggia sul fondo dell’oceano
Vi siete mai chiesti come fa la connessione a internet a viaggiare da un continente all’altro? Si parla così tanto di connessioni cloud che forse in molti pensano ad un’infrastruttura presente sopra le nostre teste, per esempio attraverso l’utilizzo dei satelliti. E se da un lato è vero che questa tipologia di connessione è possibile, dall’altro sarebbe semplicemente impensabile sfruttare solo questa soluzione per connettere tutto il mondo. La realtà è esattamente l’opposto: internet non viaggia sopra le nostre teste, ma sotto. Più in profondità di quanto si possa pensare: sul dorso degli oceani.
Forse per molti questo concetto potrà sembrare scontato, anche perché di certo questo non è un elemento tenuto nascosto al mondo. Per altri, però, questa è una curiosità che magari si dà per scontata. D’altronde quando mai ci fermiamo a pensare a quali sono le infrastrutture che ci consentono di mandare un messaggio su WhatsApp ad un amico negli Strati Uniti: premiamo “invia” e non ci pensiamo nemmeno. Ecco, quel breve messaggio, che di fatto è costituito da piccole parti di codice, si muove attorno al mondo attraverso dei cavi sottili quanto un capello, ma che viaggiano da un capo all’altro del globo nei fondali oceanici.
Da New York a Sydney, da Hong Kong a Londra: tutte le connessioni al web si spostano sul fondo dell’oceano in una frazione di secondo. Quasi 1.207.000 chilometri di cavi collegano i continenti per supportare il nostro crescente desiderio di comunicazione, una sorta di autostrada dei dati che negli ultimi anni non ha fatto che aumentare esponenzialmente le sue carreggiate. Un lavoro che solitamente viene portato avanti da uno sforzo effettuato da tutte le aziende interessate, tranne rari casi come quello di Google, che recentemente ha avviato un progetto per connettere in materna indipendente gli Stati Uniti al Cile, dove l’azienda ha il suo data center più grande al mondo.
Ma come viene effettuata la posa di cavi così lunghi e, soprattutto, com’è possibile che possano sopravvivere nel fondale marino visto il loro diametro così limitato? Com’è facilmente immaginabile, questi progetti sono spesso lunghi e complessi. Generalmente viene coinvolta una grande nave che, da una costa all’altra, srotola il cavo sul fondale oceanico, coprendo tutta la distanza che separa un continente dall’altro. Prima di fare ciò, però, il cavo viene assemblato partendo da una grande bobina di piccolissimi cavi in fibra di vetro, all’interno dei quali i dati viaggiano sotto forma di laser. Di fatto si tratta di lunghissimi cavi in fibra ottica che collegano tutta la Terra.
Utilizzare esclusivamente questi piccoli cavi, però, è impossibile. In fondo al mare, infatti, la connessione va difesa dal suo più temibile nemico. Non stiamo parlando (solo) della pressione oceanica, ma dei pesci che tendono a rosicchiare i cavi sottomarini. Per questo la fibra ottica viene prima rivestita con il rame – che serve a far passare l’elettricità che “spinge” i dati – e poi con un ulteriore rivestimento di plastica, acciaio e catrame che gli consente di resistere alla pressione del mare e agli attacchi dei suoi abitanti, ma anche a terremoti sottomarini e a movimenti rocciosi. Alla fine del processo il cavo è spesso quanto quello di una canna per innaffiare il giardino e il suo ciclo vitale stimato è di 25 anni.
Il passo successivo è quello di caricare le enormi bobine presenti sulla nave con i cavi, una procedura che richiede diversi team di persone e circa quattro settimane di lavoro. Il tutto viene infatti effettuato a mano, con un operaio che adagia il cavo con movimenti circolari e diversi altri lavoratori che si sdraiano su ogni strato per mantenere i cavi in ordine e impedirgli di annodarsi. Alla fine vengono caricati circa 2.000 metri di cavo per un peso totale di 3.500.000 chilogrammi.
Il primo cavo transoceanico è stato completato nel 1858 per collegare gli Stati Uniti al Regno Unito, un successo che la Regina Vittoria ha celebrato con un messaggio inviato all’allora Presidente James Buchanan proprio attraverso la connessione sottomarina: la missiva ha impiegato 16 ore ad arrivare. Nel frattempo la tecnologia (e la velocità) sono fortunatamente incrementate, ma ad oggi i cavi restano la soluzione più facile, rapida ed economica per inviare comunicazioni in tutto il mondo, nonostante l’ascesa dei satelliti e delle connessioni senza fili.